Ti basta vincere? Una domanda che echeggia spesso nei corridoi degli spogliatoi, negli stadi, nei palazzetti.
Nel mondo dello sport, la vittoria è spesso elevata a valore supremo, ma è davvero sufficiente? La risposta a questa domanda non è semplice, poiché tocca corde profonde legate alla psicologia e all’identità dell’atleta. Molti sportivi ci mostrano che la ricerca di stabilità personale e di un racconto di sé va ben oltre il mero trionfo.
L’illusione della vittoria come fine ultimo
Nell’immaginario collettivo, lo sportivo è spesso ridotto alla sua prestazione, alla medaglia, al record.
La vittoria diventa l’alfa e l’omega, l’unico metro di giudizio per misurare il valore di un atleta. Questa visione, però, è limitata e pericolosa. Riducendo l’atleta alla sua performance, si rischia di dimenticarne l’umanità, la complessità, la fragilità.
Oggi, la voce narrante del mondo sportivo e dello spettacolo si concentra esclusivamente sul successo, sull’immagine perfetta e sui corpi scintillanti dei supereroi moderni, ignorando completamente la realtà delle esperienze intime.
È tempo di andare oltre e dare voce alle storie profonde e autentiche dei protagonisti, che possono ispirare e risuonare ben oltre i confini.
Il percorso di un atleta trascende spesso la mera ricerca della performance. Nel vortice competitivo, dove il risultato è spesso aleatorio e mutevole come le montagne russe, si affaccia la necessità di costruire un’identità più solida e autentica.
Non basta più inseguire il successo effimero; è indispensabile un’introspezione profonda che consenta di comprendere e accettare se stessi al di là dei trionfi e delle sconfitte. Il racconto di sé diventa così un viaggio esistenziale, una ricerca di un’autenticità che va oltre i numeri e i trofei.
In questa prospettiva, essere atleta o un atleta professionista, significa non solo raggiungere obiettivi sportivi, ma anche definire un orizzonte di senso più ampio, un’identità che trascende il ruolo e si coniuga con l’essere persona. È un percorso di crescita continua, dove la performance diventa un mezzo per esplorare i propri limiti e potenzialità, ma non l’unico fine.
È legittimo ora chiedersi:
Cosa garantisce all’atleta di sentirsi sempre se stesso?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo avvalerci del pensiero di Paul Ricoeur (1990) e della tradizione fenomenologica che sviluppano il tema dell’ipseità, ossia la costanza di me, ponendolo in relazione non solo con la medesimezza (ciò che permane di me nel tempo) ma anche con l’identità narrativa.
L’identità narrativa è un concetto che delinea una tendenza propria dell’uomo, che precede qualsiasi riflessione: l’essere umano non può fare a meno di raccontarsi e raccontare delle storie, è ciò che lo rende tale.
Il raccontarsi, attraverso il linguaggio, assume connotati fortemente identitari, anzi, possiamo dire che è ciò che ci permette di definirci (Liccione, 2019).
Raccontare la propria storia consente agli atleti di riflettere su esperienze passate, apprendendo da ogni sfida e costruendo una narrativa che incoraggi l’autenticità.
La narrazione di sé non è solo un modo per esprimere chi si è, ma un atto di autoaffermazione che aiuta a dare senso alla propria carriera e alla propria storia di vita.
Come afferma Vettori, ex giocatore della nazionale di pallavolo, “ Il racconto autobiografico, dunque, è l’osservazione che un giocatore opera quando è consapevole di ciò che sente, è la percezione pronunciata di ciò che ha avuto importanza, di ciò che è stato essenziale e di ciò che invece non lo era affatto. E non solo. Il racconto autobiografico diventa anche il nodo e lo stimolo in grado di tener stretto il legame tra se stessi e il tempo presente, il tempo della collettività, vertiginosamente più cruciale e rilevante di una singola carriera sportiva”.
In conclusione, la domanda “Ti basta vincere?” necessita di una riformulazione profonda. La vera questione da porre è: “Cosa significa per te vincere?” Quest’ultima apre uno spazio di riflessione, in cui l’atleta è invitato a esplorare non solo il risultato esterno, ma l’esperienza soggettiva e il significato intrinseco della vittoria all’interno della sua esistenza.
È da questa risposta che si genera una rifigurazione del racconto personale: la narrazione che l’atleta costruisce su se stesso, e che diviene una guida per interpretare le sfide e i successi. Questo processo di auto-racconto consente all’atleta di mantenere una continuità narrativa, rendendo la sua esperienza coerente e intellegibile. Ogni vittoria o sconfitta diviene così un momento integrato nel flusso del divenire personale, non solo un evento isolato, ma parte di un percorso di significato che si evolve.
In questa prospettiva, la narrazione non è semplicemente un modo per “superare” le difficoltà, ma uno strumento fondamentale per costruire un’ identità stabile capace di affrontare ogni sfida con una comprensione profonda di sé e del proprio orizzonte di valori.
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