Sean Foley: il driving range è un posto pericoloso

L’ultimo Scottish Open (e ancora di più il prossimo Open Championship del Royal Saint George’s che inizia giovedì su un links duro e puro) ce lo insegna: il golf è un gioco in cui l’unico aspetto che conta è saper gestire la propria inconsistenza, perché la precisione, che in teoria questa disciplina richiederebbe, è molto difficile, se non impossibile, da ricreare colpo dopo colpo.

“Esistono talmente tante variabili sulle quali non possiamo avere controllo – spiega Sean Foley, ex coach di Justine Rose e Tiger Woods e oggi di Lydia Ko- che l’unica cosa che un buon insegnante deve saper fare è creare per ogni giocatore un personalissimo processo che lo metta nelle condizioni di tirare il miglior colpo possibile in ogni situazione”.

Sean Foley con Tiger Woods

E ancora, Foley: “I campioni che ho davanti tutti i giorni sono dei geni della cinestesia, capaci di percepire ogni piccolo cambiamento nel proprio movimento e nel lavoro dei propri muscoli. Per questo motivo, noi coach dobbiamo essere sicuri che ciò che suggeriamo loro non vada mai a inficiare la pianificazione del lavoro e l’impronta genetica dell’atleta”.

Per cui?

“Per cui, continua Sean Foley- bisogna semplificare. Come? Partendo sempre dalle basi, cioè dall’address. Il campo pratica è un luogo pericoloso: non è lì che c’è il golf e non è lì che bisogna misurare le capacità di un golfista. Il driving range serve solo ad allenare e poi a sedimentare le nuove strade neuromuscolari che riteniamo più corrette. A quel punto, quando le buoni abitudini si sono rinforzate, si è pronti e si va in campo dove conterà solo restare incollati al processo che si è deciso di seguire”.

A questo punto la domanda è d’obbligo: di che “processo” si sta parlando?

“Come ha spiegato Foley –aggiunge Luca Salvetti, swing coach della PGAI- si tratta delle buone abitudini. Che sono innanzi tutto il grip, l’address, lo stance e la postura davanti alla palla. Se giuste, sono quelle le basi che ti pongono nelle condizioni di tirare un colpo giusto. Troppo spesso, durante lo swing, il golfista si sente obbligato a mettere affannosamente il bastone nelle posizioni che ritiene corrette, senza capire che invece il bastone va dove deve andare se le abitudini che lui stesso ha creato davanti alla palla sono buone”.

Su questo aspetto, tra l’altro, sta lavorando da qualche settimana Rory McIlroy insieme a Pete Cowen. Lo ha dichiarato lui stesso: da ottobre stava inseguendo il bastone, piuttosto che essere lui a guidarlo con le buone abitudini e con il corretto movimento dei grandi muscoli. Nel frattempo, dopo aver mancato il taglio di metà gara in Scozia, da domenica Rory è a Royal Saint George’s ad allenarsi in vista dell’Open Championship: col talento che si ritrova, potrebbe anche fare il colpo gobbo di portarsi a casa la Claret Jug. Ma solo se riuscirà a stare incollato al “processo” che sta mettendo a punto con Cowen.

Ora: dicono che il golf sia un gioco di controllo: niente di più falso, dunque.

Il segreto, piuttosto, è controllare ciò che si può controllare: il grip, lo stance, l’address e la postura. Per il resto, bisogna solo lasciarsi andare e accettare il risultato, qualunque esso sia, perché, come ripete Westwood: “non conta il risultato, conta solo aver dato il 100% su ogni colpo”.


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