Quando, più o meno sei mesi fa, EDGA pubblicò nel suo calendario gare la data del Saint Andrews Link Open, mi iscrissi senza pensarci un attimo e avvisai subito il mio compagno di squadra Greg Guglielminetti di fare altrettanto.
Giocare a Saint Andrews, ‘là dove tutto iniziò’, per qualsiasi golfista rappresenta un’occasione semplicemente da non perdere.
Sede della gara è l’Eden Course, uno dei link dell’iconico Old Course, i cui fairways sono in diverse occasioni adiacenti, separati solo da un muretto di pietre.
Ben presto anche Fabrizio Gardiol ed il suo caddie Rodolfo Malagoli si sono uniti all’avventura scozzese.
Di solito per queste trasferte organizzo il viaggio da sola, poi gli amici li incontro sul posto. Ma partire in gruppo, come in questa avventura scozzese, era da tanto che non lo facevo: mi ha fatto tornare alla mente i viaggi avventurosi di quando avevo vent’anni, rendendo il tutto ancora più bello.
Lasciamo l’Italia con un bel clima primaverile ed arriviamo ad Edimburgo dove veniamo accolti da una temperatura decisamente invernale. Ci dirigiamo in auto verso Saint Andrews: sono passati quasi quattro anni dalla mia ultima volta qui, ma riconosco i luoghi, i colori e mi tornano alla mente ricordi. Inutile mentire: un pezzetto del mio cuore l’avevo lasciato qui e l’ho ritrovato.
Per raggiungere l’Eden Course passiamo davanti all’Old Course. E’ domenica e come di consueto il percorso è chiuso al golf ed è a disposizione degli abitanti e dei molti turisti per passeggiare tra i suoi fairways. Noi ci facciamo la foto di rito sullo Swilcan Bridge, e controlliamo – proprio come quattro ‘umarell (*)’ – lo stato dei lavori di ripristino del manto erboso, dopo quel goffo tentativo di ‘ristrutturazione’ che tante polemiche ha suscitato.
‘Qui si capisce davvero come è nato il golf: vedi un prato, pianti una bandiera, poi con un bastone ed una pallina giochi. Questa è la vera anima del golf.’ dice ad un certo punto Rodolfo. Ha ragione. Qui vai al supermercato e vedi ragazzi con la sacca a spalla fare la spesa, gruppi di signore darsi appuntamento per tirare qualche pallina, bimbi in età prescolare che nel parco giochi alternano l’altalena o la giostrina ad approcci con i loro mini-wedge.
Lunedì facciamo il giro di prova tutti assieme, Greg, Fabrizio ed io, anche Rodolfo tira qualche colpo e ci ha raggiunto anche Cristiano Berlanda. Il freddo è pungente, il vento è di quelli che ti taglia a metà.
Il campo è fintamente facile: la presenza di bunker spaventosi, e soprattutto la presenza di sterpaglia ‘mangia palline’ fa sì che se non centri il fairway, allora puoi già tirare la provvisoria.
Alla terza buca ho sentito distintamente, nonostante i sibili del vento del Mare del Nord, una voce dentro di me suggerirmi ‘Non giocare più il driver, usa un legno. Qui la pallina corre molto, la priorità è tirare dritto’.
Ho deciso di seguire quella voce, sarebbe stata quella la mia strategia di gara.
Non gioco tutte e 18 le buche, il freddo è veramente intenso e mi viene in mente quella scena di Fantozzi in cui crede di essere il Comandante Nobile nell’inferno del Polo Nord. I ragazzi invece continuano a giocare, ed io li guardo divertita. Siamo un bel gruppo: Cristiano il fashionista, Greg sempre estroso, ha una ‘mise’ con cappuccio incorporato e sembra un teletubbie, Fabrizio sempre distinto – nonostante il berretto da Grande Puffo – e Rodolfo che cerca di catturare con lo sguardo ogni particolare del campo e del paesaggio per ‘portarselo a casa’.
Inizia la gara. Non so se è stato grazie allo sticky toffee pudding mangiato la sera prima dopo il brasato scozzese, oppure al termos con il tè caldo, ma mi sentivo bene. Tiravo la palla senza paura, sapevo dove sarebbe caduta. Dialogavo con il vento, sussurravo ai green, mi sentivo totalmente parte di quel luogo magnifico ed affascinante. Troppo freddo per gli dèi che mi seguirono a Torino, questa volta sono gli spiriti celtici che mi sussurrano nelle orecchie attraverso la voce del vento del Mare del Nord ed il gracchiare dei tanti corvi neri presenti sul percorso. Chiudo con 42 punti stableford, prima della classifica provvisoria.
Sono felice. In senso assoluto. Mi sento la Regina di Scozia.
Il round 2 però ha un altro sapore. La giornata inizia con il sole, ma partendo nell’ultimo flight, dopo poco il sole sparisce e lascia spazio ad un vento gelido. Mi sento stanca, rigida, non riesco a concentrarmi sul green. L’unica cosa che sento è il freddo. Stringo i denti. Finisco il tè caldo alla buca 13, e mi riappare il fantasma del Comandante Nobile. Chiudo con 32 punti, 10 punti in meno, molti dei quali lasciati sul green.
La prima reazione è di rabbia con me stessa, ma poi realizzo che comunque ho fatto qualcosa di grande: 74 punti in due giornate, -2 sul campo. Due giornate giocate con la stessa pallina. A Saint Andrews. Se mi piacessero i tatuaggi, credo che me ne farei fare uno a ricordo di questa avventura.
Finisco al terzo posto, a parimerito con il ceco Vlastimil Hebelka. Nella categoria stableford vengono premiati solo i primi due: il vincitore è l’irlandese Burns, secondo lo svizzero Rosenast.
I miei compagni mi aspettano al bar e brindiamo: è una bella sensazione, grazie ragazzi!
Rodolfo mi dice: ‘Potevamo restare fino a domenica ed invece dobbiamo tornare a casa’.
Anche questa volta ha ragione: abbiamo giocato a golf in un posto magico, abbiamo bevuto birre, mangiato piatti improponibili, abbiamo riso (tanto!), condivise ansie e gioie.
Grazie Greg, Fabrizio, Rodolfo, siamo stati davvero bene e vi abbraccio forte. Che team che siamo!
Un abbraccio anche agli altri italiani presenti Cristiano Berlanda, Davide Fasci e Angelo Colussi (terzo nella classifica pareggiata): abbiamo condiviso un’avventura golfistica memorabile.
Per vedere i risultati della gara cliccare qui.
(*) Umarell: pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro la schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando le attività che vi si svolgono, spesso dando suggerimenti.