Breve storia dell’architettura dei campi da golf pt.2

Dopo la seconda guerra mondiale il boom economico portò di nuovo il golf a crescere, questa volta non solo nei paesi di lingua Inglese, ma in tutto il mondo.

Post Seconda Guerra Mondiale

I due elementi che influiscono maggiormente in questo periodo sono la popolarità del golf professionistico in tv e la disponibilità di nuove tecnologie che permettono di muovere immense quantità di terra e di far crescere un tappeto erboso in qualsiasi condizione climatica.

Robert Trent Jones Senior diventa il protagonista della scena dell’architettura di campi da golf con il suo redesign di Oakland Hills per lo U.S. Open del 1951 e con i suoi successivi progetti di campi estremamente lunghi e difficili. Il metro di giudizio di un buon campo da golf diventa la sua difficoltà e la sua capacità di testare i migliori giocatori a mondo, perdendo di vista le necessità del giocatore medio e ignorando le conquiste della Golden Age. 

Questo periodo è caratterizzato dalla maggior importanza data alla quantità piuttosto che alla qualità. Ogni anno venivano inaugurati centinaia di campi e gli architetti non avevano il tempo per seguire i lavori di persona. I progetti venivano elaborati quasi esclusivamente su carta, e grazie all’uso dei bulldozer qualsiasi idea dell’architetto poteva essere trasformata in realtà, ignorando il contesto naturale nel quale si inseriva il percorso.

La grande eccezione di questo periodo è stato Pete Dye. Pur essendo meno prolifico dei suoi contemporanei, Dye riusciva a creare campi avvincenti per i giocatori di ogni livello e ad inserirli nel contesto naturale sia che si trattasse di vecchie paludi come a TPC Sawgrass, che nel caso di terreni molto severi come a Whistling Straits.

Il “Rinascimento”

Nel 1995, tra le dune del Nebrasca, viene inaugurato il Sand Hills Golf Club. Nessun altro percorso dopo l’Old Course di St. Andrews ha avuto un impatto così grande sulla storia dell’architettura di campi da golf. Usando le parole usate dagli architetti Bill Coore e Ben Crenshaw: “questo campo non è stato costruito, è stato scoperto”.  

Ritornando ai concetti dell’architettura strategica della Golden Age e all’utilizzo del terreno naturale come nei Links, Coore & Crenshaw e successivamente Tom Doak hanno rivoluzionato il panorama golfistico mondiale semplicemente prendendo ispirazione dal passato.

Fairway larghi, green ondulati, rispetto per il contesto naturale e grande attenzione ai dettagli durante la fase di costruzione sono alcuni degli elementi che hanno permesso la creazione di molti dei migliori campi da golf mai costruiti. 

L’elemento principale però è la scelta del sito. Il progetto di Sand Hills ha dimostrato che un campo da golf può essere costruito ovunque, ma un ottimo campo da golf può essere costruito solo su un ottimo terreno.

Il ritorno al passato con le restoration

Una conseguenza di questo rinascimento avvenuto ad inizio millennio è l’avvento dei “restauri”. Tra il dopoguerra e gli anni ’90 moltissimi campi costruiti durante la Golden Age sono stati snaturati da interventi volti a rendere i percorsi più difficili. I fairway sono stati stretti e circondati da alberi, i bunker spostati e i green appiattiti per poter diventare sempre più veloci.

Negli ultimi vent’anni però questa tendenza è stata invertita, e la maggior parte di questi percorsi è stata riportata al suo stato originale grazie al lavoro di architetti specializzati e di storici dell’architettura di campi da golf.

Per noi golfisti europei il risultato di questi lavori può essere ammirato durante gli U.S. Open. Questo torneo si gioca quasi sempre su percorsi storici, e negli ultimi anni è stato possibile ammirare in TV capolavori restaurati come il Los Angeles C.C., Winged Foot, Shinnecock Hills, Pinehurst n.2 e molti altri ancora.

Pinehurst n.2 prima e dopo il restauro (courtesy of Pinehurst golf resort)

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