Ieri sera si è concluso il terzo major dell’anno, il 123º U.S. Open all’ L.A.C.C. È stato un torneo spettacolare all’altezza delle aspettative; abbiamo visto ancora una volta McIlroy arrivare ad un passo dal vincere di nuovo un major, superato di un solo colpo da Wyndham Clark, e abbiamo visto uno dei migliori campi al mondo per la prima volta in TV.
Il percorso dell’ L.A.C.C. è stato al centro del dibattito tutta la settimana, ed è stato spunto per alcune riflessioni sul modo in cui i migliori giocatori al mondo affrontano un campo altamente strategico preparato per un major.
1. Le statistiche sono noiose
Il 99% delle gare del PGA Tour si giocano su campi dove i giocatori hanno già giocato in precedenza, quindi analizzando le statistiche degli anni passati sanno già dove piazzare la palla e che colpi giocare per ottenere il miglior risultato possibile. La settimana scorsa però si è giocato su un campo nuovo, ed è stato affascinante vedere caddie, giocatori e analisti discutere varie strategie e provare colpi da qualsiasi angolo per guadagnare qualche vantaggio sul resto del field. Mai come durante questo torneo abbiamo visto i giocatori affrontare le buche in modo così diverso.
2. Un buon disegno è importante
Nella maggior parte degli eventi del PGA Tour e DP World Tour, la strategia di gioco si limita a prendere il centro del fairway e poi il centro del green, riducendo spesso la competizione ad una gara di putt. Tutto cambia nelle quattro settimane l’anno dove si giocano i major e in pochi altri eventi dove si gioca su campi di alto livello; qui ai giocatori è richiesto di tirare colpi sempre diversi e di posizionare la palla in zone del campo strettissime per avere un vantaggio sul colpo successivo. Questa settimana il bastone più importante della sacca non era il putt, ma gli altri 13.
3. Le critiche sono positive
Giocare a golf ad alto livello è un mestiere stressante, e se ogni settimana ti trovi a giocare un campo diverso è normale preferire campi con meno strategia. Questo perchè il “problema” da risolvere è più facile e richiede meno sforzo.
Per questo motivo quando alcuni giocatori criticano il fatto che molte buche sono “strane” o “unfair” (non oneste), penso sia un ottimo complimento per l’architettura del campo. Significa che i giocatori hanno dovuto pensare più del solito per affrontare un problema diverso, e spesso le critiche vengono da quelli che hanno scelto strategie sbagliate.
4. Un campo duro (e giallo) è più divertente
Il primo giro è stato anomalo per uno U.S. Open. Due giocatori hanno chiuso il giro in 62 colpi, e in generale gli score sono stati bassissimi. Il tempo nuvoloso non ha permesso al campo di asciugarsi abbastanza, e la strategia delle buche è stata banalizzata.
Venerdì pomeriggio però è uscito il sole ed è cambiato tutto. Il campo si è asciugato e ha rivelato il suo vero carattere, costringendo i giocatori ad essere più conservativi dal tee per poi poter attaccare le aste dal lato giusto. Abbiamo visto i giocatori usare le strategie più diverse per fare birdie, dovendo tenere in considerazione rimbalzi e rotolo della palla.
5. I par 3 non sono monotoni
Questa settimana George Thomas ci ha insegnato che con un green ben disegnato un par 3 di 80 metri può mettere in difficoltà i migliori giocatori al mondo tanto quanto uno da 270 metri. I par 3 dell’ L.A.C.C. rappresentano al meglio il carattere di questo percorso: sono unici e completamente differenti l’uno dall’altro, e richiedono ai giocatori di tirare colpi sempre diversi.
Speriamo che il PGA Tour abbia preso nota e ci regali dei campi e dei par 3 meno monotoni nelle prossime edizioni dei più importanti tornei al mondo.