Come la maggior parte di quelli che scrivono di golf, questa settimana non posso esimermi dal parlare della Ryder Cup.
Nel 2023, a Roma, ho avuto il privilegio di assistere alla Ryder e di fotografarla dal campo: sicuramente una delle più belle esperienze professionali della mia vita. Vederla in televisione lo scorso weekend ha fatto riemergere il ricordo di quella settimana di emozioni fortissime, con una punta di rammarico per non poter essere di nuovo lì, con la casacca verde che mi permetteva di saltare oltre le corde per una visione privilegiata.
Nell’edizione di Bethpage 2025 il mio punto di osservazione è stato il divano di casa, e insieme a me c’era uno spettatore d’eccezione: mia moglie E. Lei non è una golfista e già altre volte è capitato che mi facesse compagnia mentre guardo il golf in televisione, ma per quanto avvincente possa essere il quarto giro di un Major, vuoi per gli scenari rilassanti immersi nel verde, vuoi per i ritmi lenti dello stroke play, vuoi per il tepore della “copertina da divano”, dopo qualche buca il sonno ha sempre avuto la meglio su di lei.
Ma la Ryder è diversa. Questa volta è stata accanto a me per quasi trenta ore di diretta televisiva spalmate sull’arco di tre giorni, appassionata dalla sfida fra “noi e loro” e coinvolta dalla semplicità e immediatezza della formula del match-play. Dopo i foursome del sabato conosceva tutti i giocatori, aveva già deciso che Justin e Tommy con il loro carisma da trascinatori erano i suoi preferiti, che i barbuti Jon e Tyrrell erano una coppia formidabile, mentre Harris English non solo ha una faccia poco simpatica, ma non è neanche tanto divertente da vedere giocare (la ho adorata quando nei singoli di domenica mi ha detto che le dispiaceva non vedere giocare Hovland, ma English se lo risparmiava volentieri).
È saltata sul divano quando Rose ha vinto la buca con il birdie giocando il terzo dalla base delle tribune, e con buona ragione: se lo stesso approccio gli avesse solamente fatto guadagnare un colpo sul resto del field, non sarebbe stato così avvincente. Ha riconosciuto la grandezza di Justin Thomas quando ha imbucato sull’ultimo green per portare a casa un punto difficile; ha sentito tutta la tensione nell’attesa dell’ultimo putt di Shane Lowry – “Se lo mette abbiamo vinto, giusto?” – e si è emozionata vedendo l’esultanza dell’esuberante Irlandese sul green della 18.
È vero: questa volta non ero in campo, ma di tutte le Ryder che ho visto dal divano è stata probabilmente la più divertente, per averla condivisa con chi, pur non conoscendo il golf, si è sentita parte di una squadra e di un mondo che io amo tantissimo. Un’altra piccola magia della Ryder Cup.