LPGA e PIF: più dell’onor potè il digiuno

È di questi giorni la notizia dell’ufficializzazione della partnership di LPGA con Golf Saudi e Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, per la data statunitense dell’Aramco Championship, in programma a Shadow Creek (Las Vegas) dal 30 marzo al 5 aprile 2026.

Il torneo entrerà nel calendario ufficiale della LPGA e sarà valido per la Race to CME Globe, con un montepremi di 4 milioni di dollari — tra i più alti nella storia del golf femminile. L’evento, co-sanctioned con il Ladies European Tour, farà parte del PIF Global Series, e comprenderà altre quattro tappe: Londra, Arabia Saudita, Cina, e Seul.

Per la prima volta, la LPGA collabora direttamente con Golf Saudi e PIF, già noti per il progetto LIV Golf maschile. L’obiettivo è ambizioso: aumentare la visibilità del Tour femminile, attrarre sponsor globali e consolidare la crescita economica di un movimento ancora molto lontano dai numeri del PGA Tour.

“L’Aramco Championship a Shadow Creek riflette esattamente la direzione che stiamo prendendo nella definizione del programma globale del nostro tour”, ha dichiarato il commissario dell’LPGA Craig Kessler in un comunicato stampa. “Parliamo spesso di percorsi e montepremi, e questo evento soddisfa tutti i requisiti: una spettacolare cornice sulla costa occidentale, un percorso iconico e un montepremi che conferma il nostro slancio nell’alzare l’asticella per le nostre giocatrici. Riconosciamo anche che partnership come questa, basate sulla lunga collaborazione della LET con Golf Saudi e PIF, possono contribuire a rafforzare il gioco femminile su scala globale e ad aumentare le opportunità per il golf femminile”.

Dietro l’accordo si nasconde una realtà poco romantica ma inevitabile: il bisogno di fondi.

Il circuito femminile, pur in crescita, continua a muoversi in un contesto economico fragile. I premi medi restano nettamente inferiori a quelli del golf maschile e la copertura televisiva è ancora limitata.

Molti sponsor storici hanno ridotto la propria presenza, costringendo l’LPGA a cercare nuovi partner per garantire la sostenibilità del Tour.
Rifiutare l’offerta di PIF sarebbe stato un lusso difficile da permettersi.

Ma non tutti applaudono.
Il coinvolgimento del Public Investment Fund riporta al centro il dibattito sul cosiddetto sportswashing, ovvero l’uso dello sport per migliorare l’immagine internazionale dell’Arabia Saudita, un Paese ancora criticato per la situazione dei diritti umani e la condizione delle donne.

Ricordo, tra gli altri, le feroci critiche che colpirono due anni fa – in Svezia – Anna Nordqvist e che la costrinsero ad interrompere la collaborazione con Golf Saudi.

Ma i sauditi vennero anche tirati in ballo più volte come ostacolo per la fusione tra LPGA e LET.

Alcune giocatrici avrebbero espresso riserve, mentre la maggioranza avrebbe adottato una visione più pragmatica: Angela Stanford e Stacy Lewis in passato si sono espresse più volte contro un accordo con Golf Saudi, mentre Nelly Korda, Charley Hull e Lydia Ko hanno già giocato nelle PIF Series senza problemi.

Una cosa è certa: a soli sei mesi dalla sua nomina, Craig Kessler è riuscito a cambiare il passo dell’LPGA, così come aveva annunciato dopo la sua nomina.

E chissà che non si smuova qualcosa anche sul fronte del ‘matrimonio’ tra LPGA e LET (… perdonatemi la sfacciata citazione della canzone “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers” di De André del titolo).


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