Il golf è uno sport duro. Anzi, durissimo.
Lo dicono in tanti. Lo ripete anche Ben Crenshaw. E se lo sostiene pure l’inossidabile “Gentle Ben”, uno che nel mentre si è portato a casa ben due giacche verdi, allora c’è davvero da crederci.
E allora, come facciamo a resistere noi comunissimi mortali del green? Come possiamo riuscire a trovare la forza per continuare a giocare, tra uno shank assassino e una flappa dolorosa?
Forse una soluzione esisterebbe. E starebbe nell’essere capaci di sostenersi a vicenda: la scienza ci insegna che nel momento della sofferenza, tra un triplo bogey e una X marcata sullo score, spalleggiarsi a vicenda scatena endorfine e aumenta il benessere psicofisico.
Per questo motivo, sulla base indiscutibile di questi risultati medici, per il 2025 proporrei che nelle club house italiane la 19sima buca sia trasformata a beneficio di noi martiri dello swing in “zona di ascolto, conforto e abbracci”.
La cooperazione, come sosteneva l’antropologa Margaret Mead, è la via maestra dell’evoluzione; e chissà allora che tra uno sfogo profondo e una consolazione sincera, davvero non si possa diventare, se non esseri umani, almeno dei golfisti migliori.