La lezione di Aaron Smith: Vincere non è tutto!
Nel mondo dello sport, la vittoria è spesso vista come l’obiettivo finale, il traguardo da raggiungere a tutti i costi.
I giocatori, gli allenatori e i tifosi sono tutti concentrati sul vincere, e la sconfitta è spesso vista come un fallimento.
Ma è davvero così?
La vittoria è davvero tutto?
La vittoria è importante, ma non è tutto.
Ci sono altri fattori che possono rendere un’esperienza sportiva significativa e gratificante, anche in caso di sconfitta.
Una recente lezione in tal senso ci arriva dalla finale dei Mondiali di Rugby 2023.
L’esempio di Aaron Smith
Aaron Smith, campione di rugby, arrivato a giocare la sua 125esima partita, ci ha mostrato in modo chiaro ed inequivocabile, cosa dovrebbe essere sempre lo sport.
Smith ha giocato la finale dei Mondiali, sua ultima partita, senza mai darsi per vinto. Ha dato il massimo, fino all’ultimo minuto.
Alla fine, la sua squadra ha perso la partita di un punto (Nuova Zelanda 11, Sudafrica 12), ma Smith ha lasciato il campo da eroe, con il rispetto e l’ammirazione di tutti.
Un atteggiamento di fair play impeccabile, che stona con scene che negli ultimi anni abbiamo osservato in diversi sport.
Giocatori che si tolgono la medaglia d’argento, che la lanciano; altri ancora che non restano in campo a supportare la loro squadra a fine di una propria prestazione andata male.
L’esempio Smith ci insegna che lo sport è sì competizione, ma è anche un’occasione per dare il meglio di sé, per superare i propri limiti e per crescere come persone.
Riporto le parole di un atleta con cui lavoro:
“La gara di Aprile è stata la peggior performance della stagione ma anche, il picco più alto della mia crescita personale e sportiva!”
Lo sguardo della psicologia
Dal punto di vista psicologico, la vittoria è spesso associata a un senso di gratificazione e di soddisfazione (se vuoi approfondire ti lascio il link di un mio precedente articolo).
La sconfitta, invece, genera rabbia, tristezza e delusione.
Di fronte ad una sconfitta, capita spesso che gli atleti si focalizzino solo sugli aspetti negativi, tralasciando quello che invece di buono si è fatto.
Talvolta, questo modo di porsi è alimentato da un racconto non coerente dell’accaduto, in cui le motivazioni/spiegazioni delle prestazioni sportive risultano non sempre realistiche.
Perché accade questo?
Nel processo di attribuzione di causalità spesso emerge negli atleti una tendenza a motivare l’accaduto utilizzando cause esterne (es. arbitro, malasorte, condizioni meteo, falli ecc.), togliendosi così ogni responsabilità.
Smith che mostra fiero e sorridente la medaglia d’argento a suo figlio, ci insegna che è possibile vincere anche quando si perde, perché la vittoria non è solo il risultato finale, ma è anche il percorso che si fa per raggiungerlo.
Nello sport giovanile, a livello amatoriale o professionistico è arrivato il momento di archiviare quel malsano approccio che porta le persone a rincorrere forsennatamente punti e risultati, ad esaltare i vincitori e i trionfi denigrando chi non arriva.
É tempo di dare luce al coraggio, all’impegno, alla volontà, alla tenacia e al sacrificio che si mette in campo anche quando si perde.
#golfpsychology