Carattere, coraggio, volontà e mente da campione, battono il talento? A pochi giorni dalla chiusura del trofeo più ambito del mondo golfistico, la Ryder Cup, disputata a Roma e terminata con la vittoria del Team Europe sul Team USA per 16 1/2 a 11 1/2, mi piace l’idea di provare a capire cosa abbia portato l’Europa alla vittoria.
Ti ho già parlato delle ombre che nascondono spesso un talento, e di come puoi fare a riscoprirlo. Ti lascio il link al mio articolo.
I talenti erano delle monete ebraiche antiche di gran valore.
Avere un talento significava avere una somma da investire per un affare o per comprare cose preziose.
In una parabola della Bibbia il talento significa il dono che Dio fa a ciascuno di noi.
Avere un talento di qualcosa significa avere una certa quantità di una caratteristica particolare, di un dono prezioso, che dobbiamo imparare a sfruttare al meglio.
Guardando i grandi talenti sportivi, scopriamo però che alcuni di essi non sono stati capaci di sfruttarli al meglio, mentre altri sono diventati campioni senza avere doti eccelse.
Un esempio, nel tennis, fu McEnroe, tennista di indiscusso talento, che si ritrovava a perdere perché si era arrabbiato; al contrario il pugile Mohammed Ali, che non aveva le misure per essere un pugile con un talento naturale, aveva una mente geniale.
Studiava i suoi avversari fino a conoscerne ogni minimo particolare, per poi sfruttare al meglio la sua qualità migliore: la velocità.
Fluttua come una farfalla
Pungi come un’ape
Le tue mani non possono colpire
Quel che i tuoi occhi non possono vedere – Mohammed Alì
Il punto è che a volte a questi atleti che posseggono doti naturali straordinarie, capita di pensare di non aver bisogno di lavorare o di impegnarsi al limite, ricadendo all’interno di una mentalità statica (se vuoi rivedere la differenza tra mentalità statica e dinamica).
Quello che fa la differenza, quindi, è il carattere, inteso come “la capacità di scavare a fondo e trovare la forza anche quando ogni cosa è contro di te” (cit.)
Il carattere è ciò che ti permette di arrivare al vertice e di restarci.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario sviluppare una mindset dinamico, sempre rivolto al miglioramento e non alla vittoria.
Si tratta di una differenza rilevante: infatti nel caso di un mindest fisso, l’unica gratificazione è la vittoria. Viceversa, chi ha sviluppato una mentalità dinamica, troverà soddisfazione in qualsiasi competizione in cui riesca ad esprimersi al suo meglio, indipendentemente dal risultato finale.
Tornando alla Ryder, dove il team USA vantava 15 tra i 25 migliori giocatori nel ranking mondiale, contro un Team Europe nel quale il “peggiore”, se così si può dire, occupa l’80esima posizione del ranking, mi sono chiesta cosa può aver fatto la differenza.
Certamente il Capitano Luke Donald e i Vice-Capitani, Edoardo e Francesco Molinari, hanno fatto un lavoro quantomeno fantastico nello schierare in campo i giocatori giusti, accoppiandoli come meglio non sarebbe stato possibile.
Altrettanto sicuro è il fatto che il clima dello “spogliatoio” di questo team d’eccezione sia stato sempre caratterizzato da entusiasmo e senso di appartenenza (ti lascio il link al mio articolo prima della Ryder dove parlavo di identificazione).
Guardando i giocatori del Team vincente, riesco certamente ad identificare i tratti di campioni appartenenti alla categoria “mindset dinamico”.
Vedo un Jon Ram, che è forse stato uno dei migliori in campo, che nonostante le difficoltà fisiche si è sempre dedicato con passione e determinazione per raggiungere livelli di golf assolutamente eccezionali.
Vedo un Team per il quale l’importanza di essere presenti, di poter dare il loro miglior contributo, era già di per se stesso un enorme successo.
Che dire, complimenti a questi giocatori, a questi Capitani e Vice-Capitani, a tutti coloro che hanno collaborato e partecipato per rendere questo evento qualcosa di assolutamente indimenticabile per il golf, per Roma e per l’Italia.